Musica, Giulia Mazzoni: stile classico con il mondo pop

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La musica è un percorso culturale nel quale conoscere le melodie classiche che rappresentano la cultura musicale. I giovani sono sensibili alla musica, pronti a scoprire con la loro curiosità quelle nuove frontiere della melodia. La straordinaria vitalità nell’ascoltare la musica coinvolge i giovani; tuttavia è fondamentale insegnare approcci e modalità adeguate, al fine di valorizzare la cultura musicale senza esaltare le melodie commerciali che sono ugualmente importanti ma con declinazioni differenti. La musica della compositrice e pianista Giulia Mazzoni è romantica, emozionale, onirica, cerca di sposare lo stile classico con il mondo pop. I critici l’hanno definita l'”angelo del piano-forte” per descrivere come trasporta gli ascoltatori in un altro mondo attraverso il suo pianismo emotivo. Giulia, nata a Firenze il 15 marzo 1989, dopo aver studiato pianoforte, sassofono e arrangia-mento alla scuola di musica Giuseppe Verdi di Prato con Susanna Sgrilli e Roberto Manuzzi, si specializza in composizione al Conservatorio di Milano. Nel 2013 Giulia pubblica il suo primo album, Giocando con i bottoni, contenente 14 composizioni originali per pianoforte solo. Nello stesso anno divenne la prima compositrice italiana a ricevere il prestigioso Premio Ciampi. Si è esibita al concerto di Natale dal vivo della RAI tenuto all’Auditorium Conciliazione di Roma, condividendo il palco con grandi come Pat-ti Smith, Dolores O’Riordan, Elisa, Asaf Avidan e Anggun. Nel 2014 Giulia è protagonista di performance interessanti: all’Eataly Milano Smeraldo, al Ravello Festival e al MEI indepen-dent-label festival di Faenza. L’anno seguente è l’unica donna scelta per contribuire alla compilation “Eataly Live Project” della Sony Music con la sua canzone “Where and When?”. È pianista residente per Audi City Lab alla Milano Design Week 2015, suonando un pianoforte Bösendorfer appositamente progettato da Philip Schlesinger. Nel 2017 diventa la prima compositrice e pianista ad esibirsi al principale evento italiano di musica pop Festival Show. Nello stesso anno collabora con il coro femminile del Carcere San Vittore di Milano nell’ambito del progetto “Oltre le mura”. Nonostante le sfide legate alla pandemia nel 2020, Giulia partecipa a vari festival, concerti, interviste e live streaming. A marzo presenta “Inside Room 2401”, una serie di quindici concerti che trasmette in streaming dal suo canale Instagram. Il 23 maggio partecipa al festival internazionale Piano City Milano insieme a Michael Nyman, Ludovico Einaudi, Chilly Gonzales, Roberto Cacciapaglia, Joep Beving, Rosey Chan, Rufus Wainwright, Sasha Pushkin e altri. Circa 265 mila persone in tutto il mondo hanno seguito il live streaming del festival e milioni di persone in 120 paesi hanno visto la registrazione. A causa del Covid-19, Giulia ha dovuto annullare, riprogrammare o modificare diverse esibizioni pianificate. Ora sta lavorando al suo nuovo album, che dovrebbe essere pubblicato nel 2021. Con Giulia Mazzoni vogliamo analizzare il coinvolgimento che soltanto le note musicali possono assicurare nel percorso culturale dei giovani e, più in generale, delle persone.

Quando hai capito che la musica è la tua passione di vita?

«Fin dal primo momento. Sono cresciuta in un ambiente molto stimolante; in casa tutti erano appassionati di musica, cinema e arte ma nessuno suonava. Mi portavano ai concerti, mi facevano scoprire vinili, film, alimentavano continuamente la mia creatività e la mia curiosità. L’incontro ravvicinato con il pianoforte è avvenuto in quinta elementare. Durante una ricreazione ho sentito quel suono magico, una voce che mi chiamava e della quale mi sono innamorata. In un’aula della mia scuola c’era questo bellissimo strumento e ogni volta che potevo scappavo e mi rifugiavo in quell’abbraccio, quel porto sicuro che mi faceva sentire compresa e meno sola. Inizialmente vivevo la musica come un gioco segreto nel quale improvvisavo melodie sul pianoforte e costruivo piccoli temi. Poi ho rivelato il mio segreto ai miei genitori e ho iniziato il mio percorso di studio, prima alla scuola di Musica Verdi di Prato e poi al Conservatorio Verdi di Milano. Ho dovuto dimostrare ai miei genitori che la musica non era un capriccio ma una esigenza e ricordo i sacrifici di quando ero una bambina. La gioia di partire ogni giorno dopo la scuola per andare ad esercitarmi. Provavo quella meraviglia che si prova quando si scarta un regalo da bambini. Non avevo il pianoforte a casa, i miei volevano capire quanto la musica fosse importante per me, ricevetti il primo pianoforte a 15 anni e a proposito di regali quello fu sicuramente il più bello della mia vita». 

Come coinvolgere i giovani nella conoscenza della musica?

«Ognuno ha il proprio metodo e la propria visione della musica e non mi permetto di giudicare. Credo che proporrei un percorso tradizionale unito a un percorso più creativo che preveda anche l’utilizzo della tecnologia. Lo studio sullo strumento e la tecnica tradizionale è fondamentale ma anche lo studio di tutte quelle tecnologie che permettono di sviluppare la creatività. Ci troviamo di fronte a dei nativi digitali, la generazione Z ha bisogno del rapporto con la tecnologia (sono nati con quella e non possiamo imporre loro modelli che non gli appartengono, possiamo utilizzare i loro strumenti per fare apprezzare e apprendere il passato e il presente). I ragazzi di oggi sono creativi, animati da un forte senso sociale e opinioni molto strutturate. Un mondo interiore molto complesso che spesso non riesce a manifestarsi schiacciato da una società dell’apparenza e dell’incertezza. Insegnerei loro a suonare il pianoforte e ad avere un approccio alla composizione tradizionale partendo dal rapporto con lo strumento; poi insegnerei loro che attaccando un pianoforte digitale a un computer e aprendo programmi come Cubase si possono scoprire librerie di suoni infiniti dai campionamenti orchestrali ai suoni della natura. Un linguaggio che comprenderebbero e di cui si approprierebbero subito. Si aprirebbero così per loro infinite possibilità di colorare il proprio disegno. Insegnerei a ricercare i propri suoni, il proprio stile ed essere se stessi. Accoglierei senza pregiudizio la loro curiosità trasmettendo quello che ho dentro e posso dare loro. Ascolterei le loro esigenze, mi confronterei alla pari cercando di capire gli ascolti, analizzandoli insieme e proponendone altri. Non esiste mai una musica di serie A o di serie B, esiste una musica ben fatta o fatta male e non esistono Maestri ma solo e sempre allievi. Sono sicura che avrei anche io tanto da imparare da loro». 

La melodia esprime stati d’animo e descrive situazioni sociali meglio delle parole. La musica che ruolo svolge in questo momento storico dove il Coronavirus diminuisce la socialità?

«La musica è fondamentale in questo periodo. Durante il primo lockdown ho proposto dei concerti in streaming e ho partecipato a diversi festival come Piano City che hanno ricevuto una attenzione considerevole con milioni di visualizzazioni da tanti paesi diversi.  Un segnale importante e incoraggiante, le persone non si sono dimenticate di noi: hanno bisogno della musica e della cultura. Hanno bisogno di speranza e di bellezza. Lo streaming ci ha aiutato molto ma adesso manca il teatro, il ritrovarsi, il rito del concerto. Si può creare la condizione tecnica perfetta per avere un bel suono in streaming (a volte meglio del live) ma non si potrà mai ricreare la magia, la dimensione spirituale che si crea durante un concerto dal vivo».

Perché la musica classica non è adeguatamente valorizzata nei programmi scolastici?

«Non solo la musica classica ma la musica in generale. Trovo tutto questo assurdo. Una educazione senza bellezza non può alimentare lo spirito. La musica, il teatro, l’arte e le materie classiche permettono di guardarsi dentro, interrogarsi e quindi crescere. Non è la tecnica che conta ma ciò che puoi trarre da quel tipo di scuola. Non tutti diventeranno artisti di professione ma potranno beneficiare di quel percorso nella vita. Significa guardare le cose da prospettive diverse e una educazione alla profondità. Nessuno si guarda più dentro ma ci si guarda solo da fuori e siamo costantemente impegnati a galleggiare per sopravvivere. Perché non è valorizzato questo tipo di percorso? Richiederebbe fondi, tempo e competenze che spesso non sono disponibili e uno sforzo da parte delle famiglie che, sempre più spesso, non possono permettersi questo tipo di educazione, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale e culturale. È un periodo storico difficile dove le famiglie hanno difficoltà ad arrivare a fine mese e quindi si è radicata l’esigenza alla praticità. Si predilige un tipo di educazione più pratica dove si ricercano altri tipi di valori. Questo è comprensibile ma va in contrasto con l’arte. Si galleggia e non si va in profondità». 

Nel contesto sociale la melodia diventa un anello di congiunzione che facilita l’incontro tra le persone. Come usare questa ricchezza?

«Quando suono in giro per il mondo non servono le parole. Tutti comprendono il linguaggio che utilizzo sfiorando i tasti del pianoforte. La musica è un linguaggio potentissimo in grado di toccare corde dell’anima profonde. Ogni mio pezzo è come una canzone, non ci sono parole apparentemente ma in realtà è una musica che si riempie continuamente di significati. Ognuno vive questa musica e la riempie delle proprie parole. Quando scrivo un pezzo racconto parti di me ma poi quando lo eseguo lo condivido con gli altri e si trasforma accogliendo nuovi significati. È una festa che celebriamo insieme, un viaggio senza barriere. Personalmente utilizzo la melodia per abbattere quel muro che spesso si crea in un teatro e con il pianoforte, uno strumento che viene percepito come rigido, severo e austero. Il mio piano è pop, per tutti e vorrei che fosse una gioia ascoltarlo in tutte le sue sfumature abbattendo ogni pregiudizio». 

Sei impegnata anche sul sociale. Qual è l’obiettivo del progetto culturale “Oltre le mura”?

«È un progetto al quale tengo particolarmente e che mi ha segnata dal punto di vista umano. Entrare nel carcere di San Vittore e lavorare con il Coro Femminile “Oltre le mura” composto dalle detenute è stata una esperienza umana importante che mi ha cambiata in meglio. Inizialmente è stato difficile e la sera piangevo per il carico emotivo. Attraverso la musica si è creato un dialogo profondo nel quale le ragazze si sono aperte e messe in gioco. In alcuni momenti è stato difficile perché la musica permette di guardarti dentro e non tutti abbiamo luce. Uscivano le ombre, le paure, la sofferenza, la verità di ogni individuo. Non c’erano buoni e cattivi ma solo esseri umani più o meno fragili con storie difficili e scelte sbagliate. Nessun giudizio solo un abbraccio e la voglia di aiutare almeno una parte di loro a ritrovare se stesse e capire che esiste una possibilità di riscatto e di miglioramento. Siamo riuscite a fare esibire dal vivo una ragazza durante la giornata contro la violenza sulle donne. Siamo riuscite a farle capire quanto lei possa dare di bello agli altri facendo del bene e non del male, cantando. Ricordo i suoi occhi ricoperti di gratitudine profonda che sovrastava la pece del passato. A volte si vince e a volte si perde perché il bene e il male esistono e non sempre prevale il primo ma dovremmo sempre provarci per migliorare la nostra società. Ringrazierò sempre Sara Bordoni, Auser Lombardia e il Carcere di San Vittore per questa esperienza incredibile e spero di rivedere presto “le ragazze”».

Francesco Fravolini 

 

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